
Storia e leggenda del culto di Sant'Eligio
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Canicattì, 8 agosto - La Chiesa Cattolica, nel Martirologio, segna la festa di Sant’Eligio il 1° dicembre a ricordo della morte del Santo Vescovo, avvenuta nella diocesi di Noyon e Tournay proprio il 1° dicembre del 659.
Sant' Eligio era nato nell'anno 588 in un villaggio chiamato Chatelat, nel Limosino, eccellendo per la sua bravura nell'arte dei metalli.
Nel 620, venuto a Parigi, fu alle dipendenze di Bobone, tesoriere del Re Clotario II.
La rettitudine, l'onestà e I 'abilità del giovane artiere Limosino furono molto apprezzate dalla corte e dallo stesso Regnante, e l'ascesa materiale e spirituale di Eligio fu assicurata, culminando con la sua morte e la sua Santità.
Sant'Eligio passò alla storia come bravissimo orafo cesellatore e come Taumaturgo famoso: ma il popolo, che ama creare un’aureola di prodigi intorno a questi Spiriti Eletti, ha tramandato un'interessante leggenda che verte sui primi anni vissuti dal Santo nel natio villaggio di Chatelat.
Si narra che Sant’ Eligio gestisse, nel suo piccolo paese, un'ampia e famosa bottega di maniscalco, dove sulla porta figurava un'insegna con questa scritta: "Eligio artiere, maestro di tutti i maestri, con due riscaldate batte un ferro". Ed era veramente bravo, perché normalmente, per tirare un ferro, occorrono più di due sole riscaldate.
Il Padre Eterno vuole salvare EIigio abilissimo artiere ma non orgoglioso, e manda Gesù nelle sembianze di un giovane che cerca lavoro nella bottega del maestro. Dopo una prima negativa, il nuovo garzone viene assunto ed invitato al lavoro. Sopraggiunge un cavaliere, che ha bisogno di mettere i ferri al suo bellissimo e focoso cavallo.
Il nuovo garzone afferra l’incastro (strumento tagliente per le unghie) e taglia il piede al cavallo, tira un ferro con una sola scaldata, attacca alla morsa lo zoccolo tagliato, pianta con pochi colpi il ferro e ribadisce i chiodi: indi riattacca l'arto con la saliva dicendo: '"Mio Dio, fa che si rapprenda".
Il padrone, che accecato dalla sua sicumera non ammette che ci possa essere più bravo di lui, per quanto titubante, si mette all'opera per imitare il garzone, ma, quando si accorge che non riesce, l'anima superba di Eligio si illumina e rientra in bottega per prostrarsi al Divino garzoncello; questi, però era scomparso col cavallo e il cavaliere, che altri non era che San Martino Vescovo di Tour.
II culto di Sant’Eligio è molto diffuso, e mentre la parte storica lo ha preposto come protettore dei cesellatori e orafi in genere, la parte leggendaria lo ha chiamato protettore degli equini.
In Sicilia, a Palermo, nel rione Argenteria, dove in antico gli artigiani orefici avevano le loro botteghe, esiste ancora diruta una piccola Chiesa sotto il titolo di Sant' Eligio con l'antistante piazzai omonima. La Chiesa è abbandonata e gli orafi hanno disertato in parte il quartiere per trasferirsi nelle principali vie cittadine dove si vende e si guadagna di più, ma il nome ed il Protettore sono ancora vivi e ricordati dalla tradizione.
La parte leggendaria, invece, che concerne la protezione del Santo Maniscalco per gli equini è ancora fiorente ed osservata in molti centri e cittadine siciliane.
Il popolo, nel suo dialetto, chiama Sant'Eligio con l'abbreviativo "San'Alò" e venera il Taumaturgo con un tradizionale rito.
Quando un cavallo o un mulo si ammala, normalmente allo stomaco, malattia detta nel gergo "doglia vintusa", dilatazione del ventre, il contadino, o il carrettiere, porta l'equino nei pressi della Chiesa dove si venera San'Alò. È di prammatica che l'animale ammalato giri tre volte intorno alle mura del tempio, infatti, in Sicilia. tutte le Chiese consacrate al culto di Sant' Eligio, sono isolate appunto per permettere comodamente i giri suddetti.
Contemporaneamente, chi richiede la grazia di guarigione della bestia ammalata, si premura di portare un po’ d'olio, da usarsi per la lampada che brucia per l'amore di Sant'Eligio.
Bisogna tenere presente che prima della recente diffusione del motore agricolo, trattori, trebbie ecc. ecc., un mulo, un cavallo o un semplice asinello rappresentava tutto per una famiglia rurale; l'equino serviva per tutti i lavori agricoli ed era alla base del benessere familiare. Difficile il possedere un animale del genere, privilegio che era riservato a pochi e più il sostituirlo in caso di morte o disgrazia. Nel dialetto siciliano, volendo parlare di un mulo o cavallo che racchiude le migliori qualità di forza, forme e giovinezza si dice: ' 'Lu vero Sant’Alò", un vero animale degno di Sant' Eligio.
Si racconta a Canicattì il prodigio avvenuto circa 60 anni addietro al “burgisi" (contadino abbiente) a nome Diego di Chiazza; il suo cavallo, per avere fatto una scorpacciata di "Gruppi di fave” (fave non separate dalla buccia secca) era stato preso da atroci dolori al ventre ed aveva tenuto in angoscia I 'intera famiglia composta dalla moglie e da tre figlie giovinette.
La morte dell'animale, che si presentava minacciosa, sarebbe stata fatale per tutti.
Con fede e speranza l'intera famiglia ricorre a Sant'Alò e mentre le donne provvedono per la lampada, il capo di casa riesce alle prime luci dell'alba a rialzare l’animale e portarlo presso le mura della Chiesa dove si venera il Santo.
Si inizia il primo giro della piccola Cappella, giro che l'animale compie a fatica, ma il gonfiore del ventre diminuisce; il secondo e terzo giro son seguiti con ansia dal padrone e dai familiari: l'animale nitrisce e recupera le forze perdute.
Si grida al miracolo, e per la ricorrenza della festa di Sant'Eligio, la famiglia, grata e non privata del benessere, prepara una grande forma di pane che raffigura la testa di un cavallo, la quale, messa sopra una "buffetta" (tavola), difronte alla Chiesa, viene distribuita in piccole fette dal procuratore ai festeggiamenti "Zio Calogero Licalzi" al popolo, che inneggia e benedice il Taumaturgo, protettore degli equini, al servizio delle patriarcali e devote famiglie rurali di Sicilia.
Fausto di Renda
"Giornale di Sicilia" - Palermo, 9 agosto 1955